Compleanno Telos, occupazione dell’ex Isotta: “Coronavirus? Psicosi collettiva e follia dell’informazione”
SARONNO – Due striscioni, una ventina di persone davanti al cancello e molti giovani all’interno dell’area dismessa: sono gli elementi “visibili” dell’occupazione degli anarchici del Telos che sono entrati all’ex Isotta Fraschini per festeggiare gli 11 anni di attività del centro sociale.
L’occupazione iniziata oggi pomeriggio alle 17 è stata seguita dalle forze dell’ordine che hanno presidiato la zona, il cancello davanti al cimitero su via Milano.
Ecco il testo condiviso dagli anarchici
Prendere uno spazio, una frase che negli anni ha avuto molti significati.
Ricerca, emancipazione, lotta, autogestione, condivisione, scazzi, chiarimenti, progetti, idee, amicizie.
Alcuni di noi si ricordano i primi tentativi una decina d’anni fa,momenti strani e particolari nella vita di una città di provincia. L’aprirsi di crepe che lasciavano intravedere motivi per restare in questo grigio che ci circonda.
I luoghi presi, nonostante il nome che, nato come acronimo, si porta dietro ancora adesso un senso di finalità, sono sempre stati mezzo in cui mettere esperienze a confronto e in cui fare lo sforzo di uscire dalla routine del sé e scegliere di pensare, cosa e come, cercando la ricchezza di pensiero e azione dalla condivisione.
Contro ogni aspettativa ci siamo trovati a crescere e a cambiare, ad affrontare un sacco di cose che non ci aspettavamo; quei primi momenti hanno avuto lungo corso, permettendoci di affacciarci su un mondo di persone che sperimentavano diversi analoghi.
Grazie a quelle prime esperienze ci siamo trovati a conoscere altro e sentirci spugne ogni qualvolta un’esperienza importante qui o altrove ci ha fatto incontrare persone, viaggiare; ogni qual volta un momento di lotta ci ha fatto capire più a fondo cosa andavamo cercando e contro che mondo invece remavamo.
Ci portiamo dietro una valanga di emozioni forti e legami saldi che continuano a darci energia per andare avanti, pescando anche dagli errori commessi e dalla superficialità.
Ci troviamo con pregi e difetti di una provincia che non offre granché, devi proprio scegliere di starci, ma questa scelta che ci lega a un luogo in cui sembra ancora di poter avere delle relazioni umane con l’ambiente intorno, ci spinge a interrogarci costantemente su quanto possa essere importante quel’ancora che spesso abbiamo bestemmiato e ci ha fatto mettere in discussione.
“Andiamocene, cerchiamo contesti potenzialmente più rivoluzionari, numericamente più grossi, in cui vediamo emergere più facilmente le contraddizioni del sistema in cui viviamo, o semplicemente altri luoghi in cui vivere.”
Qualcuno l’ha fatto per fortuna e continua a vivere e lottare altrove, altri l’hanno fatto e sono tornati, altri ancora se ne andranno, qualcuno rimane ma ha preso binari paralleli e qualcuno sceglie di rimanere, con uno sguardo e la mente sicuramente più aperta e ricca di complessità, più incasinata, di quando iniziammo a provarci.
Il mondo intorno sembra sempre più complesso e difficile da comprendere, di anno in anno assistiamo a fenomeni che faticavamo anche solo immaginare e verso i quali spesse volte ci sentiamo impotenti; gli stati promuovono guerre e alzano barriere sempre maggiori alla libera circolazione delle persone e le massacrano o le lasciano morire; le città, anche quelle piccole come la nostra, si modellano in continuazione per creare differenziazioni fra le persone e riempire le tasche di chi le ha già gonfie; proprio in questi giorni la questione pandemica del Coronavirus ci sta facendo assistere a uno dei più grandi fenomeni di psicosi collettiva e follia/strumentalizzazione dell’informazione, permeato dall’acuirsi di disposizioni sicuritarie eccezionali.
Ci è capitato, anche in tempi più sereni, a fronte di tutti gli sbattimenti necessari ad imbastirla, di pensare a una serata come a qualcosa di poco importante, su cui non investire chissà che. Che di altro a cui pensare ne avremmo e a volte sembra di perdere tempo. Una piccola verità che ci sembra di intravedere è che l’importanza di creare momenti di aggregazione è ciò che in un contesto come il nostro torna sempre a galla come una pratica
necessaria per tenere accesa quella fiammella e magari indirettamente riuscire a trasmettere qualcosa della nostra stessa attitudine ad altri, in un mondo sempre più assuefatto.
Un contesto, come già detto, in cui forse più che in una grossa città riesci a conoscere delle persone, a sentire dei problemi come comuni e palpabili, a tastare con mano qualcosa di simile a una collettività. Prendere uno spazio.
Quello in questione è l’ex Isotta Fraschini (il lato su via Milano 7),
una delle più vaste aree dismesse di Saronno (sì, di spazio ce ne sarà molto più che in uno qualunque dei tanti supermercati aperti e affollati o di un bar nell’ora di punta dell’aperitivo), su cui si abbatterà la più grande opera di riqualificazione di questa città.
Un’occasione per guardare, probabilmente per l’ultima volta, qualcosa di nascosto e che si porta dietro una fetta di storia di questa cittadina.
Un’occasione per rendersi conto di cosa abbiamo intorno e di quanto sia alla portata di tutti, e magari per immaginare cosa vorremmo o non vorremmo intorno a noi.
Un luogo in cui oggi creiamo insieme l’occasione per fare festa potrebbe diventare domani un posto per cui mettersi in gioco.
In questo senso prendere uno spazio diventa un’occasione, l’aprirsi di un ventaglio di possibilità, una boccata d’aria in questo clima contagiato più dall’incapacità di immaginare altro e dalla paura che dall’influenza.