SARONNO – Pubblichiamo la nota condivisa dal collettivo Adespota sulle denunce per l’occupazione di Ca’ Libertaria in via San Francesco dell’ottobre 2020.

In questi giorni la Questura di Varese sta notificando a dei compagni la chiusura indagini per l’occupazione di Ca’ Libertaria nell’ottobre del 2020. I reati contestati sono: invasione di terreni o edifici, danneggiamento e furto; niente di nuovo dal fronte repressione. Quello che colpisce però, leggendo le carte, è che due nostri compagni vengono additati come “promotori”, con tanto di aggravanti annesse.

Dopo anni in cui la Questura ha cercato questi fantomatici “capi degli anarchici”, con tanto di tre tentativi di sorveglianza speciale, eccoci ancora ad affrontare la questione.

Non ci stupisce che chi governa non se ne faccia una ragione, ma noi di capi non ne abbiamo. La vicenda riguarda sia questa piccola denuncia, ma si riflette anche nella vicenda di Alfredo Cospito, individuato come “leader” che da dentro il carcere indirizzerebbe – a detta del tribunale di sorveglianza e di tanti altri assassini in doppio petto – le azioni fuori.

Ma facciamo un passo indietro.

Il 18 ottobre 2020 viene occupato un posto abbandonato a Saronno: Ca’ Libertaria.

2020, ricordate? Lockdown, zona rossa, arancione, gialla, autocertificazioni e coprifuoco. Sembra impossibile aver vissuto tutto ciò, eppure è accaduto proprio l’altroieri. Se c’erano persone che hanno accettato passivamente queste misure, altri avevano deciso che non si poteva rimanere in silenzio e che non si poteva rimanere indifferenti.

In quel periodo ci avreste potuto trovare davanti ai supermercati di Saronno, con carrelli della spesa pieni di cibo riportanti la scritta “contro la crisi che arriva, solidarietà attiva!” Insieme a noi altre persone che, oltre a donare o raccogliere generi alimentari, discutevano dei recenti avvenimenti, creando nella solidarietà un momento di socialità spontanea in tempi in cui era vietato uscire di casa. Ai tempi si scriveva: “Essere poveri non deve essere una vergogna o uno stigma: la società in cui viviamo è fortemente classista. La miseria vera è dover tirare a campare, pagare continuamente il conto di essere nati. La società in cui viviamo ci mette continuamente in competizione per non poterci guardare negli occhi e indirizzare la nostra giusta rabbia verso chi ci obbliga ad elemosinare le briciole. Con questa colletta alimentare vogliamo aiutarci, per sopperire insieme e collettivamente a bisogni che non sono individuali ma sociali. Partire dai bisogni di tutti per poi poter, insieme, rivolgere la giusta rabbia verso chi lucra e specula sulle nostre vite.”

L’occupazione di Ca’ Libertaria voleva essere un punto di incontro tra tutte quelle individualità e collettività che cercavano qualcuno con cui far sentire la propria rabbia e il proprio malumore, quando loro cercavano di isolarci noi ci incontravamo, mangiavamo insieme, ci scambiavamo idee, condividevamo preoccupazioni. Lottavamo.

Oggi quello spazio non esiste più, e non solo a livello di simbolico, ma anche fisicamente: dopo lo sgombero è diventato un supermercato, l’ennesimo a Saronno. Ad aver sporto denuncia per l’occupazione è stata l’azienda che vanta “Quaranta anni di presenza sul mercato. Quaranta anni di passione per il lavoro. Quaranta anni di fedeltà ai valori ispiratori spesi nella ricerca del “ben fatto” e del soddisfacimento delle aspettative del cliente”; c’è da capire a quali “clienti” siano rivolti i loro interventi, a chi pensa al proprio profitto o a chi non ha neanche un tetto sopra la testa?

Oggi quel posto ci sembra un ricordo lontano, ma la necessità di uno spazio di socialità e lotta è più che attuale, soprattutto a fronte delle misere condizioni che siamo costretti a vivere; tra posti di lavoro che rasentano lo schiavismo e costo della vita sempre più alto.

Ci hanno propinato e continuano a propinarci, specialmente ora in tempi di guerra, la priorità dell’unità nazionale, l’idea di essere tutti sulla stessa barca. Niente di più falso, non è un caso che proprio ora a un anno da una guerra alle porte d’Europa e con un compagno torturato e mandato a morte dallo Stato democratico italiano si intensifichino le attenzioni verso chi si ostina a non chinare la testa.

Le città in cui viviamo sono un mortorio, l’assenza di conflitto e solidarietà schiaccia nell’isolamento e nello sfruttamento tutti e tutte.

Occupare è giusto, ribellarsi necessario.


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